La voce del verbo riflettere discende dal latino reflectere, ripiegare all’indietro. Essendo una cosa interiore e propriamente soggettiva, la riflessione spinge il nostro intelletto a concatenare eventi che lo legano e lo imbarcano verso ulteriori fenomeni ancora sconosciuti. Così detto, penso che la mente sia un grande mare pieno di porti e isolani bontemponi felici di dare il benvenuto ad ogni straniero giunto fin lì dopo giorni, anni di viaggi e peripezie. Noi siamo i nostri preconcetti e la retorica e l’ignoranza. I nostri limiti sono tutte sfide in campo aperto, senza limiti e condizioni atmosferiche svantaggiate. C’è sempre il sole e ogni momento è buono per far festa. Ma riflettere, come verbo riflessivo, vuol dire anche specchiarsi, immergersi nel nostro magma salato e tentare di salire a galla con immagini e sensazioni piacevoli, a volte nuove. E, per finire, riflettere, come verbo intransitivo, significa: considerare con attenzione. Prendere ogni cosa con cura e darle il giusto valore. Non mi sembra una cosa da poco. Eppure riesco ad impantanare la mia imbarcazione poco prima di attraccare. É un qualcosa che a volte mi capita. Non riesco a portare a termine il mio progetto e, giuro, mi piacciono sempre i bontemponi e le feste. Ma sono figlio di questa maldestra cultura asociale e commerciale. Va da se che mi annoio e mi dimentico. É non è cosa da poco. Ed è per questo che rifletto e provo altre armi per schiacciare questo verme che mi vuole magro e bello e carico di fotografie sul mio profilo inter-sociale. Così detto, penso che la via migliore sia sempre leggere un buon libro. Uno qualsiasi. L’importante è leggere e riflettere su quello che si è letto e, magari, condividerlo. Spesso da lì riesco a ricondurre l’imbarcazione verso l’attracco vicino. Questa mia riflessione parte dall’ultimo libro di Boris Pahor, “Triangoli rossi”. Pahor fu internato in vari campi di concentramento come deportato politico (per questo il triangolo rosso sulla giacca bisunta). La mia riflessione nasce dal continuo stupore e orrore che queste letture mi lasciano. E, per quanto l’Accaduto risulti lontano ormai nel tempo, le vicissitudini nel mondo di quest’ultimi anni mi riportano a momenti diversamente vicini a quell’ignobile evento – durato poco, durato in eterno. L’oblio in cui tendiamo a cadere, dimenticando, vivendo tutto come un infinito timore verso l’altro, ci sconfina dentro dimensioni mostruose; e noi siamo la bestia di quel territorio gigante chiamato luogo comune, Terra di tutti gli essere viventi. Penso sia facile dire: se maltrattiamo gli animali, logico maltrattare i propri simili. Ma credo sia più difficile trovare una risposta alla domanda: perché lo facciamo? Oltre al libro di Pahor, ho letto l’ultimo fumetto di Michel Kichka, “La seconda generazione”. Ad un certo punto, il padre che è stato internato nei campi di concentramento, alla domanda di Kichka sul perché tutto ciò sia accaduto, risponde: <<Ho letto più o meno tutti i libri sull’argomento e non ho mai trovato la risposta!>>. Anch’io penso di non esser ancora giunto a nessuna risposta. Probabilmente non la troverò mai. Comprendere perché ci vuole una ruspa per spianare i campi Rom, invece di aiutarli ed integrarli nel nostro ordine civile – perché?; perché rispedire o rinchiudere in celle obbrobriose i migranti fuggiti da guerre e pestilenze, invece di offrirgli conforto e casa e comuni dismessi che tanti ce ne sono che si stanno estinguendo – perché?; perché destabilizzare un paese come la Grecia, farlo fallire, sputare sulla loro dignità, invece di includerlo, salvarlo, amarlo, visto che siamo un’Unione – perché?; perché l’Isis, la violenza ebrea sui palestinesi, l’ebola, i kamikaze in Afghanistan, la prepotenza americana, ancora, ancora ancora – perché? Sarebbe facile rispondermi: per stupidità, avidità di potere, denaro. Ma non è così semplice. Perché io faccio parte della maggioranza, di coloro che perdono spesso e devono spaccarsi la schiena e combattere contro depressione e delusioni per raggiungere un obiettivo (sempre dentro un sistema non mio, con leggi non mie e, che a volte, non rispettano il mio Io). Io faccio parte della maggioranza che dimentica di esserlo. Le mie scelte valgono quante quelle di un milione di persone che manifestano per chiedere maggiori diritti sull’ambiente. E dovrebbe essere un vanto. Ma non è così semplice. Immaginate che in Giappone i libri scolastici vengono scritti dal governo e che vengono omesse molte cose sulla Seconda Guerra Mondiale. Immaginate che quasi tutti i ragazzi giapponesi non sanno che su Hiroshima è stata sganciata una bomba atomica. Immaginate che in Libia, grazie al libro verde di Gheddafi, si pensa che tutto il nord Africa sia un unico paese: il loro. Immaginate che Auschwitz è diventato un luogo di culto e di passaggio, dove ormai tutto è figo e <<ci devi andare per capire>>. Immaginate che ogni anno vengano pubblicati decine di libri e di film dedicati a storie hollywoodiane con sfondo bimbo-ghetto-nazisti, eroe che libera tutti. Immaginate che un popolo quasi sterminato ora stermina un altro popolo. Questo bordello moderno, dove tutto si incanala dentro meccanismi sempre più ristretti e veloci, dove ogni cosa deve avere il meritato successo e la strabiliante menzione d’onore da qualche parte per essere riconosciuta, ci ha ridotti a puri automi che sanno criticare, citare, indicare, ma non riflettere e stare zitti un attimo – prima di premeditare l’azione. Suona sempre ridicolo colui che nega l’olocausto o colui che inneggia all’odio razziale. Ma quel riso amaro stona mentre in America un ragazzino entra armato in chiesa e uccide nove civili solo perché neri. Fa rabbrividire pensare che in un paese civilizzato come il nostro esista un movimento come quello del Family Day che censura libri solo perché promulgano l’amore anche omosessuale – legittimo e sano. Ti fa salire i nervi vedere e sapere dello sterminio compiuto sui sudanesi, sui maliani, sui nigeriani e sulla storia archeologica e monumentale dei loro antichi paesi. Riflettere deriva dal latino reflectere, cioè ripiegare all’indietro. Volgendo lo sguardo al nostro passato noi possiamo – e avremmo potuto – comprendere il degenero e l’apostasia della vita scompensata dentro un continuo flusso antipolitico e fine a sé stesso. Un po’ come un riccio che si raggomitola per difendersi, diventando una minaccia per chi tenta di avvicinarsi; amico o nemico che sia. Ed è così che ci stiamo comportando con coloro che chiedono il nostro sostegno per avere un briciolo di dignità. E guardarli dietro quelle reti e stipati dentro autobus e cellulari della polizia e tentare la fuga sotto e dentro camion di passaggio: l’associazione non ha bisogno di essere descritta. So anche che tutto ciò non centra niente e che oggi siamo meno primitivi di una volta. Ma il mio orrore e i miei brividi quando sento qualcuno che ancora e ancora e ancora si lamenta o denigra e offende: l’associazione non ha bisogno di essere descritta. Stiamo attraversando un periodo di cambiamento. Dopo l’ottantanove e l’attacco alle Torri Gemelle, è in procinto un cambiamento – lo vedete? Là! Là! Ed è sempre la maggioranza a deciderlo.
.Triangoli rossi.
(a B.P.)
Meriti di vivere,
meritano di vivere i morti.
Dove sei stato?
Chi ha raccolto più
molliche di pane,
tu o la tua disgrazia?
Sto venendo a prenderti.
Raccontamelo ancora.
La mia vita mi fa dimenticare
tutto.
Raccontamelo ancora.
(Lampedusa Caulonia Buchenwald –
Hai fame? <<Ho fame>>.)
Nel sottopassaggio della Storia,
gracchiano le rane,
lievitano gli avvoltoi
e
non c’è storia senza morti
e
non c’è storia senza vivi.