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SPERANZA FREDDA

Comincio affrontando la questione della soggettività poetica. In breve. Se nella poesia epica e drammatica, il poeta è principalmente narratore alto, esterno, di eventi storici o fantastici, nella poesia lirica l’Io è il fulcro espressivo della narrazione testuale. Come affermava Hegel: “Il suo contenuto è il soggettivo, il mondo interno, l’animo che riflette, che sente e che, invece di procedere ad azioni, si arresta al contrario presso di sé come interiorità e può quindi prendere come unica forma e meta ultima l’esprimersi del soggetto”. Tale dinamica è il tratto più caratteristico dell’arte dal Romanticismo in avanti. L’interiorità diventa la connessione tra linguaggio e messaggio, tra il sé e il mondo. Per Kant gli individui possono scegliere come agire e comportarsi in modo tale che le proprie azioni possano diventare legge universale; dove la libertà è il trionfo sui nostri istinti e impulsi di base. Ancora più oltre si spinge Fichte quando stabilisce che nessun Dio da forma alla nostra percezione del mondo. È unicamente il sé. Per Fichte l’Io agisce partendo dalla prospettiva del libero arbitrio. Senza libertà, la moralità non è possibile. Questi rinnovamenti filosofici e artistici si sviluppano in un contesto storico fondamentale per la storia e la letteratura europea: la Rivoluzione Francese. La libertà individuale diventa un precetto collettivo che spinge il popolo francese a chiedere liberté, égalité, fraternité per sé stessi e l’intera nazione; pensiero e ideologie che cominciano a circolare tra i popoli vicini e gli intellettuali europei. È un punto di rottura tra il prima e l’adesso. Da una visione medievale dove ci sono limiti oltre i quali la ragione non può andare e solo Dio con la fede riuscirà a placare la sete di conoscenza (Agostino di Ippona), si passa – in un lampo di teste rotolate – “all’Io penso” di Kant e all’importante frase del poeta Novalis: “Da dove attingo le mie idee? Da me, necessariamente da me. Sono io la sorgente di tutti i miei pensieri”. Questa veloce introduzione serve per congiungerci alla poetica di Bei Dao. Pseudonimo di Zhao Zhenkai, è nato a Pechino nel 1949. Nel 1978 fonda insieme al poeta Mang Ke la rivista indipendente di poesia “Jintian” (Oggi), che ha portato ad una nuova rappresentazione poetica e artistica ancora oggi ferace e influente. Dopo la disgrazia di Tian’anmen del 1989, trovandosi all’estero, Bei Dao non è mai più potuto tornare in Cina. Questo ha portato il poeta, insieme ad altri autori cinesi esuli, a rifondare la rivista “Jintian” ad Oslo, diventata una delle più importanti riviste letterarie cinesi. La poesia di Bei Dao è una voce cruda e decisa che struttura immagini astratte che chiedono precisione e regole al caos umano. Il soggetto è il costruttore. La distanza è la chiave di volta tra la soggettività poetica e il mondo. Non ci sono ponti diretti che uniscono queste due isole, ma traghetti che sono in balia delle onde e dei capricci atmosferici. Nei suoi versi l’astrazione è la forma del pensiero indipendente, visione intellettuale e razionale del mondo. Prendiamo, ad esempio, la poesia Speranza fredda (da cui è ripreso il titolo del libro Einaudi a cura di Claudia Pozzana). Nei versi 3-6 […] La notte avara / getta al mendicante monete di stelle / anche il silenzio è invecchiato / non impedisce più il sonniloquio dei bambini, vediamo nei primi due la notte trasformarsi in un essere umano che getta monete-sogni al mendicante-poeta. Ma nei due successiva troviamo un solco tra il passato e il presente: il silenzio ormai non ha più alcun potere e le voci dei bambini-nuovi poeti non è più sotto il suo controllo. La distanza tra i due distici è rafforzata da quell’ anche che congiunge la parola silenzio al primo verso, cioè alla notte avara. La lingua d’origine è la base da cui scaturisce il pensiero e la forma della poesia e la sua visione di azione e mondo. Rapporto difficile e indistinguibile, un legame che unisce e al tempo stesso allontana. Soprattutto da esuli. Soprattutto nel dolore e nella repressione politica del proprio tempo storico. La parola è significato. E il linguaggio la sua dimora, il suo essere cucina, edicola, amplificatore. Prendiamo la poesia Vuoto: in essa ogni parola e il suo più banale significato è inerte, quasi una resa. Ogni frammento fonemico è distrutto dal vuoto generatosi dall’incidenza di fattori esterni, che hanno sempre una matrice umana. L’indigenza, la libertà, la vittoria, la disperazione sono svuotate dal loro costrutto perché Crono divora i propri figli nei suoi significati più ampi: conflitto tra vecchiaia e gioventù, il tempo come divoratore di ogni cosa, le nazioni che divoravano i suoi figli migliori in guerre e rivoluzioni o la paura del potente di perdere le proprie condizioni speciali. […] Il tempo è un vuoto / infauste mosche riempiono / il soffitto dell’ospedale / la storia è un vuoto / un registro genealogico che continua / solo i morti possono ottenere riconoscimento. In questi ultimi versi della poesia Vuoto vediamo come il tempo e la storia si intrecciano in un percorso ambivalente che si impone con l’abisso della morte, nel quale tutto cade (politica, sociale, cultura) e dal quale tutto esonda (lamento, ricordi, lutto). Le poesie di Bei Dao oscillano sempre tra due estremi opposti che s’intrecciano e si dividono come in un’infinita danza tra tragedia e speranza. Prendiamo alcuni versi della poesia Attesa: […] non ci sono uomini di epoche diverse / che avanzino sotto la stessa frusta […] C’è solo un seme fossile […] aspettano, dopo lo splendore della fioritura / quell’unico frutto. È evidente il districarsi di due sentimenti contrapposti e comunque legati dalla stessa sorte. Non c’è dramma senza speranza, non c’è futuro senza passato. Ed il finale è uno dei più forti del libro dove si evidenza il peso della storia (in questo caso cinese) e la difficoltà della poesia come metro di verità e razionalità intellettuale: […] La piazza del desiderio dispiega / storia senza segni di scrittura / un cieco avanza a tentoni / la mia mano si sposta sul foglio / bianco, non lascia nulla /mi sposto / sono io quello cieco. Un altro aspetto molto importante nella poetica di Bei Dao è l’attenzione verso l’educazione e l’istruzione. L’autore pone l’attenzione sulla difficoltà e sull’imparzialità che incombe su queste due forme di apprendimento. Evidenzia una crisi radicale sui saperi letterari e sulla ricostruzione oggettiva della storia. Ci sono dinamiche complicate da sbrogliare tra la realtà soggettiva e il reale oggettivo. È una battaglia che, a volte, si fa voce poetica e pensiero, mentre altre sfiora la dimensione filosofica. La soluzione, secondo il poeta, si trova nel disporsi a lato della mediazione educativa. Essere autodidatti sui saperi letterari. Andare oltre le indicazioni imposte dalle autorità. Cercare. […] è il padre che conferma l’oscurità / è l’oscurità che conduce allo splendore dei classici (dalla poesia Paesaggio sopra zero). C’è chi lo ha definito un poeta politico. Non amo dare etichette o chiudere dentro una determinata tipologia l’opera di un poeta. Da poeta io stesso, preferisco rimanere nell’incerto. Bei Dao è un poeta ricco di immagini e attenzione meticolosa verso ogni singola parola. Nel suo mondo non c’è nulla di stabile. Credo che in nessun mondo ce ne sia. È il linguaggio a delinearlo, a razionalizzarlo e metterlo di fronte ad una sorta di verità. Bisogna sempre mettere e colmare una distanza. […] Oscillazione fra estremi, che vanno necessariamente uniti e separati (Novalis, dall’Opera filosofica, vol. 1). Per concludere, ritorno alla poesia Speranza fredda, al capitolo 4 dove troviamo un solo verso nel quale viene racchiusa l’espressione dell’Io lirico, la sua continua evoluzione, l’esperienza, la varietà, le distanze astratte e reali nel singolo involucro/corpo, un grido al contempo meraviglioso e straziante: […] Com’è grande il mondo.

***

Ho visto Bei Dao, una volta, sul confine, guardare oltre l’orizzonte e scrivere nel firmamento il suo lamento, alone della storia. Il mistero s’infittisce. L’ho visto gettare il cuore tra i monti. Questo implorava affetto e nello stesso tempo lo infondeva con un tremore che sapeva di una vittoria a metà. Ma nessuno risolve i drammi costruiti dietro i monti. Il mistero non verrà svelato. Il lamento era ormai oltre l’atmosfera. E dall’altra parte del confine, non c’era nessuno ad ascoltarlo. C’era solo Bei Dao. Ad ogni angolo dell’universo visibile e ruminato.

Questo non è un addio
perché non ci siamo visti affatto
malgrado ombra e ombra
per strada si sovrapponessero insieme
come un evaso solitario

Domani, no
il domani non è oltre la notte
chi aspetta è il colpevole
ma le storie che accadono di notte
si lasci che nella notte finiscano

(Domani, no – dal libro Speranza fredda di Bei Dao, Einaudi Editore)