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Poeta in frac

Andò davanti al giudice-lucertola come un re dinnanzi al suo popolo. Non commise un passo incerto, nessuna smorfia facciale, criptico come lo sguardo vuoto e deciso di una serpe. Normale: lui era il Poeta-serpente. Vestiva un frac nero con una cravatta rossa. In testa un cilindro di raso nero metallizzato. Il pubblico affascinato dalla sua eleganza e dalla sua andatura concreta – ma attento a scorgere ogni minimo scricchiolio focale nei sui occhi – con lo sguardo lo accompagnava verso il suo posto, in prima fila, quasi ipnotizzato, innamorato, in un silenzio sacerdotale. C’era solo il suo passo preciso; nessun altro suono tangibile nell’aria densa e in tensione caustica e ossidazione e reverenza nascosta. Il Poeta-serpente arrivò davanti al Giudice, chinò leggermente la testa in segno di saluto e andò a sedersi al suo posto, fianco ai Giurati. Codesti erano delle orecchie senza braccia e collo. Si dimenavano come delle anguille fuori dall’acqua ed espellevano un liquame rossastro che, prontamente, veniva asciugato dagli inservienti che, invece, erano delle sanguisughe minuscole che, una volta piene, esplodevano in coriandoli e pipistrelli neonati diffondenti epidemie che, lapidariamente, venivano schiacciati dalle Guardie di Corte: testa a forma di martello, i gomiti cuciti ai fianchi. Tutta questa concatenazione di eventi avveniva in pochi attimi. A cicli continui. Il Giudice invitò i ragazzini all’angolo destro in fondo alla sala ad iniziare a giocare al Gioco dell’Oca e fece entrare una donna nuda in aula per stemperare la tensione già elettrica e statica. Tutti iniziarono a masturbarsi, tranne il Poeta-serpente. Lui era intento a fissare un foglio sul tavolo dove era seduto. Pensava al dono che aveva ricevuto: essere il primo poeta nella storia ad essere imputato di stregoneria omicida e narcisismo plurimo. Finalmente era giunto all’ultimo stadio, nella suprema virilità: una star. Il divo intellettuale. Il centro nevralgico di ogni discorso e di ogni tesi. Quello che stava avvenendo gli aveva dato la cassa di risonanza per autenticarlo a livello globale. La donna nuda uscì e il Giudice, che aveva le labbra cucite e solo due indici, fece smettere i ragazzini di giocare e indicò la Bibbia sull’altare a ridosso dell’entrata. I ragazzini corsero verso di essa, si vestirono da chierichetti e insieme al vescovo, sceso in volo plastico dal tetto, andarono, con incenso e salmodiando canti liturgici, verso l’accusato. Questo si alzò e, una volta giunti davanti al suo cospetto, gli porsero il suggellamento divino. Con voce ferma e altisonante disse: <<Lo giuro>> e tutto il pubblico scoppiò in un applauso convulso e liberatorio. Il Poeta-serpente aveva pronunciato le sue prime parole e la folla presente in aula era già in un visibilio puerile. Il giudice indicò la gente in delirio per far finire quel casino. Loro si ricomposero subito e donarono qualche soldo ai chierichetti in giro tra i banchi con il cesto delle offerte. Una volta ripresa la calma in aula, il Giudice fece alzare il Poeta-serpente per pronunciare la requisitoria nei suoi confronti. I capi d’accusa erano: eccetera eccetera. Lo scrivano li pronunciò alla Giuria e al pubblico che automaticamente li trascrivevano sui cellulari e, da lì, al mondo intero. Ora toccava al Poeta-serpente prendere la parola per difendersi da tali accuse così scabrose e sterili, insignificanti. <<Nel mezzo del cammin di nostra vita, perché sempre e comunque nel mezzo di un cammin ci troviamo, son qui a veder flagellare il mio spirito così fragile e tenero da assurde diffamazioni nate da, se posso permettermelo, gelosia e blasfema invidia. Io, che offro amore con le mie inaudite parole sonanti. Io, che giungo a voi come un messia da dentro un computer. Io, che leggo per voi e a voi vengo per nutrire e innalzare in piani più alti di nota e variopinta intelligenza. Io, mi sento offeso da codesta corte maturata nel seppellimento di ogni sogno e desiderio scaturito dal cuore e dalla povertà. Perché, ebbene, la mia è umile povertà. I miei versi sono pane per i poveri e io a loro vado per portare conforto e giustizia. I miei video sono per loro e le loro madri morte in guerre lontane. Chi siete voi per redimermi da tale compito? Chi siete voi per portare giustizia nella casa del toro ferito dopo un colpo di lancia per gioco e stupidità umana?>>. Detto questo, il Poeta-serpente si girò verso il pubblico, che era in lacrime e sgomento, e alzò le mani al cielo come ad invocare un perdono divino. <<Voi, che siete la mia coscienza e la mia fortuna, cosa pensate di tale obbrobrio e umiliante situazione? Io vi amo. Quanto sono uniche le mie foto mentre accarezzo il libro dei vostri sogni? Quanto sono bello mentre leggo al popolo la sua miseria e apro il mio cuore e i miei sentimenti a tutti voi, senza scrigni o porte segrete? Quanto sono saggio quando vi ricordo che un’onesta divergenza è spesso segno della salute del progresso?>> Il pubblico si alzò in piedi e scrosciò un applauso fortissimo che durò quindiciminuti&ventuno secondi. Il Poeta-serpente abbassò le mani soddisfatto e si andò a sedere al suo posto. Il giudice indicò nuovamente il Gioco dell’Oca e fece entrare un’altra volta la donna nuda, ma questa volta seguita da un’altra. Iniziarono a ballare. Il regista bloccò due volte le riprese per dare indicazioni alle due donne sui movimenti e gli atteggiamenti da migliorare. Quando tutti finirono di masturbarsi, le donne uscirono ed entrarono dei gatti. Il regista li costrinse a fare cose buffe e ridicole. Durò poco. Erano dei professionisti del mestiere. Improvvisamente, tutti i cellulari dei presenti suonarono all’unisono. Era arrivato un messaggio per la salvaguardia di un parco intorno alla scuola primaria, lì in zona. Tutti diedero il loro consenso e condivisero la proposta. Poi posarono il cellulare ma, alcun di loro, continuarono a masturbarsi rivedendo il video delle due donne nude già in circolazione su internet. <<Miei cari fratelli di sangue e lotta, io non sono un demonio. Io cerco solo di portare un po’ di piacere e lauto sollievo alle vostre anime stanche. Io vi dono l’arte per ricevere un po’ di calore dai vostri MI PIACE. Datemi i vostri MI PIACE e io sarò ovunque a servire la vostra sete di poesia e libertà. Dite tutti in coro “MI PIACE! MI PIACE!” e tramutateli in realtà.>> Tutti i presenti presero a recitare quelle parole e a tramutarle in realtà. <<Queste accuse che mi vengono poste sono scempi e cattiva sorte. Io, letterato e lettore, che parlo la lingua dei padri e in falsetto urlo il mio sconforto, cosa devo fare per perdonarvi, per assecondare cotanta sdolcinatezza e volgare vendetta? Mi avete visto, lì sul ponte, lì, a unire il mondo, generare fratellanza e condivisione. Avete visto che giornata di festa meravigliosa so offrirvi. Ed è questa la mia colpa? Le mie foto in seppia gotica non rendono forse troppo la mia poesia? E’ forse un problema essere ubiquo ed avere mille cloni sparsi per la Nazione? Io sono la tradizione e il buon vino in tavola. Ho chiuso le strade e non resta che quella da me mitigata. E quale migliore di questa? Quale altra sicurezza? Ed è questa una colpa? Non è forse, invece, una pena e un dolore quest’attacco che mi si rivolge senza sconti e con violenza? No: io trovo in difetto la vostra indifferenza verso quest’uomo che implora amore e s’immola per darlo. Guardatemi sempre come colui che ha dato e non ha mai tolto. Ricordatemi come fossi un sole dietro la tempesta, perché così io vi ringrazierò dopo l’uggiosa tristezza.>> Dicendo questo, il Poeta-serpente, si accasciò sulla sedia. Posò le mani sul tavolo e, su di esse, vi mise la testa, come se stesse pregando. Il pubblico gli andò intorno. Tutti lo fotografarono e questo gli diede un po’ di conforto. Alzò la testa e fissò il Giudice con aria di sfida e prepotenza. Lui indicò la giuria che si accomiatò nella stanza dirimpetto all’aula per dirimere la sentenza. Non ci sarebbe voluto molto. Nel frattempo, il sindaco fece un discorso ai cittadini presenti riguardo all’importanza della cultura nella società e invitò il Poeta-serpente a declamare dei versi per tale scopo. Quando terminò la lettura, oltre agli applausi e a varie strette di mano con i politici intervenuti all’evento, gli venne regalata la tessera onoraria del partito e una menzione sul Quotidiano in uscita all’indomani. Il Giudice osservava la scena con occhi insoddisfatti. Stava quasi per indicare il patibolo sul lato sinistro dell’aula quando si sentirono dei colpi da sparo provenire dalla stanza adiacente alla loro dove era in consultazione la Giura. Tutti si voltarono e puntarono la loro attenzione verso quel suono secco e potente – ormai un riverbero inquietante. La porta si aprì. Lentamente. Passarono ventitreminuti&quindici secondi e da quella porta, invece di veder arrivare la Giuria e le sanguisughe e le Guardie di Corte, ne uscì un uomo con una maschera nera e due AK 47 nelle due tozze mani. Vestiva un frac nero con una cravatta rossa. In testa un cilindro di raso nero metallizzato. Camminava adagio. La maschera lo copriva fino al naso. In bocca aveva una un mozzicone di sigaretta spento. Lo sputò a terra prima di arrivare davanti alla postazione del Giudice, da dove si potevano vedere tutti e dove tutti potevano vedere lui. Fissò, per un attimo, il Poeta-serpente. La maschera nascondeva ogni minima espressione. Il Poeta-serpente, invece, ricambiò con uno sguardo confuso e spaventato – identico a quello delle persone presenti in sala. Il silenzio era tagliato solo dai movimenti ferrosi delle due armi che l’uomo mascherato alcune volte alzava e altre accasciava sbattendole sui fianchi. Sembravano attimi interminabili. Il Giudice comandò i ragazzini di andare a preparare qualcosa da mangiare visto il protrarsi infinito di questo colpo di scena. Fece addirittura entrare una mandria di donne nude per cercare di smorzare la costante indulgenza di questa strana intrusione, quasi a fine spettacolo. Tutti, certo, si masturbarono un po’. Ma niente riusciva veramente a distoglierli da quella situazione così imprevista, scarna, finale. Ci voleva il colpo di scena. Toccava al Poeta-serpente. Lui sapeva che ogni cosa era riposta in lui. La star. Il Superuomo. <<Come osi disturbare suddetto processo? Chi ti credi di poter essere con tanto fare libertino? Parla, se hai umiltà d’intenti o lasciaci concludere questa farsa.>> L’uomo mascherato si voltò verso di lui e lo uccise. Almeno trenta colpi, in poco meno di tre secondi. Sbalorditivo. La gente in sala non emise nessun suono vocale né compì gesti disperati. Piano piano si alzarono dai loro banchi e si portarono sopra al corpo del povero Poeta-serpente morto. Restarono così per pochi minuti. Poi cominciarono ad applaudire, sempre più forte, e questi applausi erano indirizzati non alla memoria del povero poeta deceduto, ma al suo aguzzino. Partirono flash e videoregistrazioni. La gente era eccitata e in escandescenza per il nuovo eroe da ammirare. Cori da stadio riempivano l’aula in festa. Ma colpi da sparo seguirono grida e giubbilo e presto tutti furono morti. Non se ne era salvato neppure uno. L’uomo in maschera li aveva uccisi tutti. E quando solo polvere e cadaveri erano rimasti nell’aria scarica e immacolata, l’uomo, gettando a terra i suoi complici di metallo, si tolse la maschera. Ecco il Poeta-serpente. Un altro Poeta-serpente. Eccolo schiarirsi la voce: <<Miei cari fratelli di sangue e lotta, io non sono un demonio. Io cerco solo di portare un po’ di piacere e lauto sollievo alle vostre anime stanche. Io vi dono l’arte per ricevere un po’ di calore dai vostri MI PIACE. Datemi i vostri MI PIACE e io sarò ovunque a servire la vostra sete di poesia e libertà.>> Eccolo pronto, con il suo cellulare, a recitare un sonetto per i cari defunti su sfondo naturale. <<Morte, non essere troppo orgogliosa,/ se anche qualcuno ti chiama terribile e possente/ Tu non lo sei affatto: perché quelli che pensi di travolgere/ in realtà non muoiono, povera morte, né puoi uccidere me.>> Ed ecco il vescovo planare dal tetto, prenderlo sotto braccio e accompagnarlo verso l’uscita. Nella Gloria terrena e divina. Recitando l’Ave Maria. Affidandolo alle Guardie di Corte. Preparandosi il trucco per il prossimo processo.