Io sono un fumatore. Forse non dovrei essere così esplicito, quasi volgare, ma è la verità: io sono un fumatore, a detta degli esperti, puro; cioè compro il tabacco sfuso e le sigarette me le giro da solo. Però non amo essere annoverato dentro alcuna categoria. Ho iniziato fumando sigarette già composte dalle varie multinazionali del tabacco. E tutt’ora, ogni tanto, una Lucky Strike me la fumo volentieri. Certo, oggi mi rendo conto della differenza tra le due tipologie; gusto, odore, consumo. Però, essendo che passerei tutta la vita su una panchina davanti al mare scrivendo e fumando, una sigaretta vale l’altra. Perché, sinceramente, noi esseri umani ci adattiamo presto alle nuove – e alle vecchie che si ripropongono – situazioni, senza grossi problemi e lamentandosi quel tanto che basta a soddisfare la libidine della nostra ristretta comunità. Quindi, io sono un fumatore quasi puro e, come fumatore, anche uno stupido, un ignorante e un complice. Queste ultime tre categorie sono fondamentali per descrivere un fumatore del XXI° secolo. Sono decenni che medici (molto spesso fumatori), genitori (molto spesso anch’essi fumatori), zii (fumatori), insegnati (fumatori), politici (fumatori), pubblicitari (fumatori), fino ai pacchetti di sigarette (vendute per essere fumate) ci dicono che fumare uccide. E non lo dicono perché loro vogliono fumarsi tutte le sigarette del mondo, ma perché veramente il fumo può uccidere. E lo fa lentamente e metodicamente. Non è uno scherzo. Abbiamo dati, foto, parenti e amici di amici morti di cancro ai polmoni, allo stomaco, infarto e altro perché oltre a mangiare affettati tutti i giorni, si fumavano pacchi su pacchi di sigarette. È un buon incentivo per finire dentro una bara. Ne sono consapevole. Per questo sono uno stupido fumatore. E sono un ignorante perché ignoro tutti i dati, le foto, i consigli degli esperiti e l’esempio datomi dai parenti e amici di amici morti anche per il fumo di sigarette. E sono complice perché offro un cattivo esempio ai bambini quando mi vedono seduto su una panchina davanti al mare a fumare. Infetto l’aria e le persone a me vicine con il mio sbuffare placidamente catrame, monossido di carbonio, polonio 210, ammoniaca e decine di altre sostanze cancerogene. Lo ammetto: sono un fumatore quasi puro, stupido, ignorante, complice, crudele verso il prossimo e vanitoso. Perché mi piace farlo. Quel gesto, quel tirare, quei due minuti di morte personale, quasi come se il mondo fosse indistruttibile e tutto per te. Non è così.
Il cielo non sta bene. L’attuale quantità di anidride carbonica immessa nell’aria ci riporta al Pliocene, quasi a quattro milioni di anni fa. In quel contesto storico le temperature erano superiori di 3-4°C e il livello del mare di 20 metri più alto di oggi. Nel Pliocene c’è il principio di ciò che noi siamo e della Terra che conosciamo. I continenti si divisero, gli oceani si stabilizzarono. Cominciò lo sviluppo della fauna e della flora che ci circonda. E verso la fine di quell’era, alcuni ominidi decisero di scendere dagli alberi, saltellare su due soli arti ed ecco la prima famiglia Homo, gli Australopitechi. A farci caso è una regressione della Terra, un ritorno al principio. Può sembrare romantico per qualcuno, ma non è un vantaggio per l’uomo. Se nel Pliocene e nel successivo Pleistocene, i fattori ambientali – assestandosi – furono gradienti per l’evoluzione, oggi – estremizzandoli – quei fattori diventano una catastrofe che potrebbe portare la specie umana all’estinzione. È incredibile, ad esempio, pensare come in pochissimi millenni l’uomo sia passato da una ruota di pietra ad auto che superano i duecento chilometri orari. Ma questa accelerazione ha avuto una conseguenza: abbandonare il Pianeta. Uso il termine “abbandonare” perché è ciò che effettivamente è avvenuto: sfruttando la totalità delle sue risorse, inquinando mari e fiumi, buttando cemento su ogni lotto di terra utile, arando campi senza tregua, è come se l’avessimo dimenticato, quasi un oggetto messo in cantina, buono solo quando offre qualcosa. Da domare se si ribella. Comunque, esce bene nelle foto; che poi è ormai un feticcio da ricordare agli amici al ritorno delle ferie. Eppure, anche se gli eventi estremi si acutizzano, se fa più caldo del solito, se nevica a giugno e un sole infernale brucia le montagne a gennaio, la situazione non sembra destabilizzare la coscienza dell’uomo. Questo perché, alla fine, siamo tutti fumatori quasi puri, stupidi, ignoranti, complici, crudeli verso il prossimo e vanitosi. Come il corpo, anche il mondo soffre delle azioni – spesso – nefaste che l’uomo compie per le proprie esigenze. E come un corpo malato, anche il mondo può morire; o meglio, viene a mancare quella parte utile alla sopravvivenza di alcune specie animali, compresa la nostra. Perché il mondo non ha bisogno dell’umanità per vivere, Cristo se non ne ha bisogno, mentre noi senza le sue funzioni vitali (aria, acqua, biodiversità alimentare) siamo finiti, morti, crepati, the end. Sono decenni che scienziati, professori, associazioni, attivisti ci mettono in allarme e ci avvertono che il surriscaldamento climatico è di origine antropica, che è reale, che il sole non ci sta venendo addosso. Sono decenni che facciamo finta di nulla, procrastinando. Mentre il Pianeta si esaurisce. E lo fa lentamente e metodicamente. Come il fumo di sigaretta. Non riusciamo a percepirne il pericolo reale perché non è imminente, quasi mai vicino a noi. Anche se abbiamo dati, foto, video di catastrofi ambientali; anche se i dottori ci dicono che l’aria inquinata riduce l’aspettativa di vita di due anni; anche se l’Amazzonia brucia e si restringe quotidianamente, sapendo che è uno dei principali polmoni del mondo: è distante, lontano nello spazio e nel tempo. Diverso il contesto sociale e il desiderio di ogni uomo di possedere – e di essere posseduto. Immaginate il mondo come una rete di scambio dove l’ultimo cavo si collega al nostro corpo. Dal Pianeta verso noi. Ora immaginate di capovolgere la fila: in questo momento siamo noi che diamo qualcosa al resto. Quindi ogni nostra azione ha una conseguenza in ogni determinato passaggio, ad ogni elemento di cui si compone la Terra. Se le nostre azioni vanno verso una destinazione passiva, rischiamo di infettare e danneggiare tutti i componenti che fanno parte della rete di scambio. Viceversa, se le nostre azioni vanno verso una posizione attiva, ogni componente ambientale e sociale ne giova. Con questo non voglio dire che tutto è perduto.
Quasi involontariamente (perché dipeso dalla deforestazione costante che ci ha portato ad un contatto diretto) e tristemente (per via delle conseguenze mortali), lo abbiamo constatato con la pandemia da Covid-Sars 19. Il 2020 è stato un anno particolare e unico: un virus ha costretto in casa miliardi di persone. Questa chiusura globale utile alla salvaguardia della popolazione mondiale ha messo in luce diverse dinamiche economiche, sociali ed ambientali. A livello economico e sociale ci ha fatto scoprire tutti più fragili e imbavagliati dentro un tessuto inorganico, il famoso capitalismo, che fa cilecca in diverse parti del sistema e porta le varie Nazioni che lo compongono all’isolazionismo. Mentre la natura ha visto dei leggeri miglioramenti. In poche settimane di lockdown l’inquinamento atmosferico è diminuito di un terzo, con un miglioramento dell’aria e dell’acqua di oltre il quaranta per cento. E questo miglioramento è dovuto semplicemente dal fatto che le persone hanno smesso di spostarsi con auto, aerei e navi. Pensate di trovarvi in una città del Nord dell’india, di affacciarvi sul balcone e, come ogni giorno della vostra vita, vedere svettare le cime dell’Himalaya. È durato poco, solo per alcune settimane dopo la totale chiusura. Era da oltre trent’anni che gli indiani, per via dello smog, non vedevano le montagne himalayane. Un altro risvolto positivo il lockdown lo ha avuto sui fumatori. L’Istituto Superiore della Sanità ci dice che nel 2020 c’è stato un calo dell’1,4 per cento, corrispondente a circa 630 mila fumatori in meno. Forse sarà stata la paura, visto che il virus attacca principalmente i polmoni, ma ciò non toglie l’evidente miglioramento. Prendere questo esempio è funzionale per comprendere alcune azioni che possono essere utili anche a livello ambientale. Cominciamo chiedendoci come mai negli ultimi venti anni la percentuale dei fumatori è in costante diminuzione. Tra le varie, le due fondamentali sono state quella dell’aumento stagionale del prezzo delle sigarette e la proibizione di fumare nei luoghi al chiuso e in alcuni luoghi pubblici all’aperto. Questi due fattori, correlati alle campagne contro il fumo, alla maggiore consapevolezza del danno fisico comportato dalle sigarette, hanno fatto sì che la Philips Morris, la più grande multinazionale del tabacco, annunciasse che dal 2026 non avrebbe più prodotto le classiche sigarette (concentrandosi unicamente su quelle elettroniche). Queste proibizioni sono state attivate dallo Stato. Un fumatore difficilmente avrebbe, di propria scelta, smesso di fumare ovunque. Alcune regole devono solo essere imposte. Perché, sinceramente, noi esseri umani ci adattiamo presto alle nuove – e alle vecchie che si ripropongono – situazioni, senza grossi problemi e lamentandosi quel tanto che basta a soddisfare la libidine della nostra ristretta comunità. Questo vale anche per l’ambiente. È corretto fare la differenziata, non gettare plastica o altro materiale per terra, ma servono sempre di più azioni ampie, di regole che coinvolgano tutti i continenti, che valgono per le aziende quanto per i singoli cittadini. Di scelte radicali e concrete. Di invertire il gioco maldestro delle parti: non è, quando avviene, il comportamento errato del singolo cittadino a distruggere il Pianeta, ma l’intero sistema economico composto da poche aziende che inquinano come l’intera popolazione umana. Bisogna disincentivare il mercato a “fumare” perché ormai gli scienziati lo dicono: il fumo passivo contiene infatti più di cinquanta sostanze cancerogene, che vengono inalate dai non fumatori quasi nelle stesse quantità che assorbe chi fuma. Usiamo tutti lo stesso polmone. E siamo noi popolo a dover chiedere urgentemente questi cambiamenti. Ora, la questione che io sia un fumatore, neppure uno di quelli puri ma un bastardo che tradisce facilmente la propria legione di fumatori, prende una brutta piega. Non ho scusanti. Sono peggio di Dostoevskij mentre gioca a poker. Siamo uno di fronte all’altro. Lui fa la sua puntata. Io lo guardo. Poi mi alzo ed esco fuori. Dopo qualche secondo, mi raggiunge. Tossisce e poi mi chiede quale sia la morale di questa storia. Io lo guardo e dico: ormai fumano tutti e, per quanto possa sembrare difficoltoso, tutti devono farlo sempre meno, fino a smettere definitivamente. Lo sappiamo entrambi e lo pensiamo mentre ci dividiamo: questi ultimi due passaggi sono fondamentali per descrivere un futuro nel XXI° secolo.
(Le due foto presenti dentro al testo e quella soprastante sono riprese dal progetto fotografico Photo Ark del fotografo statunitense Joel Sartore)