Tornare indietro nel tempo. Per viverci, nei presunti fasti del passato; perché il presente non è mai quello che ci si aspetta, con continue difficoltà e ostacoli da superare. Ecco un presente che ci proietta in un futuro di statistiche e probabilità incuranti dei nostri stati d’animo folli e momentanei incentrati sul quotidiano o sul semplice risveglio. Ma il passato, sì il passato recente, è il ricordo della propria l’adolescenza, i brividi di succosi rimorsi, quasi a mezzo sorriso; il sesso giovanile; il mistero della luna e le lotte politiche studentesche e la voglia sfrenata di cambiare ogni cosa. Guardandoci indietro sembra che il mondo antropogenico non abbia mai avuto un difetto. Anche se il 1° settembre del 1939, la mattina presto, giunse la fine del tempo umano*. Anche se le rivoluzioni si sono trasformate in mostri. Anche se le promesse di uguaglianza e fratellanza sono rimaste parole scritte su trattati e manifesti corrosi dalla polvere e dal vento. Ma questo discorso si inoltra in un reticolo globale, mentre il passato – come già descritto – è quasi sempre privato. Non fa parte della Storia del mondo. Tu sei la tua Storia, il contorno non ti concerne. Te l’hanno insegnato le delusioni ideologiche o i manganelli nella pancia. Naturalmente è l’estremizzazione di una situazione ipotetica, ma non mi sto allontanando troppo dalla realtà. Aver paura è uno di questi sentimenti che hanno portato la nostra scimmia primordiale a sopravvivere ed evolversi, che tutt’oggi ci aiuta a districarci dalle condizioni di pericolo o a politici e dittatori per tenerci comodi e bravi sul divano. Guerre, prigioni, rivolte, povertà, spionaggio, internet: siamo sempre in pericolo, oggi, e il peggio deve ancora arrivare, domani. Se non fossimo tutti particelle di una rete globale, come funghi micorrizici per gli alberi, questi scenari sarebbero banali scenografie televisive, liberi nella nostra ignoranza e chiusi nel nostro ristretto gruppo di amici e parenti che ci dona sicurezza, fin che dura anche lì. Ma, per quanto tu possa essere il più grande eremita biblico sulla Terra, non funziona in questo modo: siamo organismi simbionti, una catena che appena si spezza mette in difficoltà tutti gli anelli che la compongono. Ma la natura non ha memoria, la gente lo stesso. Potremmo definirla una demenza senile generale – e utile fin quando il danno non colpisce la tua casa. Guardarsi indietro è un modo finto, ma rassicurante, di percepire la forza della nostra esperienza come cura alle crisi del presente. Se utilizziamo questo paradigma per un folle o politico folle o capo tribù folle è il cercare nel passato la grandezza, la purezza di un impero o di una divinità (celeste o terrena).
Cronorifugio di Georgi Gospodinov (ed. Voland, traduzione di Giuseppe Dell’Agata) ci parla di un’idea rivoluzionaria: la ricostruzione di dimore e luoghi fermi in un determinato periodo storico, con oggetti e materiali funzionali alla scena riprodotta, per donne e uomini che soffrono di demenza senile, Alzheimer e malattie simili. Questi luoghi, insieme agli oggetti selezionati, sembrano offrire al paziente il riproporsi di ricordi che stavano sbiadendo, in un momento della loro vita che ha avuto un determinato valore sentimentale. Oh, me lo ricordo bene questo paralume, a casa stava nel soggiorno. Dove avete preso il nostro divano? L’ideatore di questo progetto è il dottor Gaustìn, alter ego dello scrittore. Il testo è narrato in prima persona – espediente utile a rafforzare il tema trattato perché, ammettiamolo, è il sogno di ogni uomo poter rivivere il proprio passato, forse per trascorrere ancora momenti cruciali e di giubilo o per avere ancora una possibilità per rimediare a quei maledetti errori che resteranno sempre una ferita aperta nel cervello. Non lo dico per filosofeggiare. Se inizialmente questo espediente si struttura sulla singola persona, pian piano diventa qualcosa che si spinge oltre la semplice abitazione, creando piccole città recintate dove ogni quartiere racconta un decennio di storia novecentesca. Ma sappiamo benissimo che noi esseri umani siamo gente desiderosa e capricciosa e, ormai, il vaso era stato aperto. Quindi ogni Stato europeo decide di tornare indietro, di tornare a vivere in un determinato anno di un determinato decennio scelto con un voto dai propri cittadini. Potremmo quasi affermare che ogni paese soffra di demenza senile e che nessuno ormai sarà più in grado di distinguere cosa è verità e cosa è sembianza. Niente di rivoluzionario a riguardo.
Sono le nove di mattina e i carrarmati hanno già oltrepassato il confine. Fino a due ore fa stavo dormendo tranquillamento nel mio pezzo di mondo in qualche modo pacifico e utilmente indifferente alle disgrazie altrui. Dove sono finito? Non riesco a staccare gli occhi dal televisore. Sono nella solita sala da pranzo, con i soliti mobili, i soliti libri e il solito gatto che ha sempre fame. Eppure, quello che vedo sono scene di un altro secolo, ricordi e immagini che riportano la mia mente a qualcosa di letto e documentato, di sentito dire in altri luoghi e altre dimensioni. Questo è già successo già centinaia di volte nel mondo. Perché, la centouno? Vado a mettere l’elmetto ed esco di casa. <<Le armi le trovi vicino alla panetteria. Se non hai fatto ancora colazione, ti daranno anche una brioche e un caffè direttamente lì>>, mi dice una voce fuoricampo, uscita da una delle casse appese ad ogni angolo delle strade. Corro. Incontro delle persone che vedendomi applaudono e mi incitano ad andare più veloce. Cerco di essere più rapido, ma sono già stanco di questa storia. <<Signor P. ci può spiegare perché tutto questo?>>, chiedo avvicinando il microfono al suo volto ferreo. <<Perché sono pazzo.>>, mi risponde serio. <<Solo questo?>>, chiedo imperterrito. <<No, forse c’è anche un pizzico di malvagità e visione geopolitica, ma principalmente perché sono pazzo. Da anni che coltivo questa pazzia, in modo sempre più aggressivo e violento. Non ho mai fatto mistero di questo>>. Mi sistemo l’elmetto e ricomincio a correre. Sono spaventato. Non mi hanno insegnato a pensare al futuro. Ora tutti pensano alla disgrazia, non sono abituati ad affrontarla. Non siamo più capaci di costruire la bellezza dai nostri errori? <<Caro amico, ti scrivo questa lettera per dirti che ormai non esiste più il mio paese. Hanno distrutto sia il nostro futuro che il nostro passato. Ci sono solo macerie. Qui, la Storia ha finito di raccontarsi. La maggior parte delle persone sono fuggite via. Io non so se troveranno un domani nel loro andare via. Ma cos’altro dobbiamo augurarci? Forse un giorno, coi nostri ricordi, riusciremo a ricostruire il presente. Però tu non dimenticarmi. Non lasciare che la paura ti faccia impugnare un’arma. Non serve a nulla. Ti uccideranno comunque. Mi dispiace non poterti dare risposte. È più semplice bombardare che trovare risposte. Siamo dei coglioni, nulla da eccepire caro amico. Stammi bene>>. Sono le undici e già mezzo mondo è distrutto e stupito da questa ennesima sfida della stupidità umana. Quando un uomo si sveglia, ogni mattina sa che deve combattere con il dimenticatoio e la povertà. Un uomo si sveglia e sa che nessuno sta bene e vuole comunque vincere qualche cosa. Questo è un Pianeta fatto a premi. Se arriverò prima al banco delle armi potrò avere la scelta migliore. Comincio a spingere via ogni persona che mi si para davanti. Nessuno può intralciare il mio cammino. Ma improvvisamente suonano le sirene. Si sentono sfrecciare in cielo aerei militari. Ci invitano a nasconderci nelle cantine. Sentiamo le bombe esplodere sopra di noi. Vedo dei bambini giocare a palla come se nulla fosse. <<Non avete paura?>>, chiedo. <<Sono due mesi che ci troviamo qui sotto. Non te lo ricordi più?>>, mi dicono all’unisono. Guardo le mie mani scavare tra le rovine di un palazzo. Forse, se non smetterò mai, troverò il mio centro della Terra e da quel punto ritrovare la strada di casa. Devo avere almeno un sogno. Mi sistemo l’elmetto e continuo a sparare. Dietro al muretto di questo cortile ci sono io. Non so da dove arrivano i colpi né quanto siano i miei nemici. Ma dalle raffiche potrebbe esserci l’intera popolazione umana. Ho caldo. Ho fame. Ho sonno. Poi mi alzo dal divano e spengo la televisione. Silenzio. Se dovessi scegliere un anno nel quale riportare indietro il tempo, sarebbe sicuramente a quattro miliardi di anni fa quando questo posto era pura eruzione e formazione. Ritornare ad essere quel primo microrganismo che ha fatto di tutto per diventare quello che oggi siamo noi, in un tempo così infinito. Mi piacerebbe trovarmi in quel momento in cui i rami genetici si dividono per osservare la fatica e l’evoluzione. E piangere, perché da quel momento sarebbe tutta una discesa, rapida discesa di domesticazione e guerra. Se dovessi scegliere un anno nel quale riportare indietro il tempo sarebbe proprio nel momento in cui le due specie si dividono. Per troncarne una. La mela guastata. Già fine e inizio di un’era. Nel consueto processo egoistico e vile. Come il sogno di un pazzo infelice con l’elmetto.
*Tutte le frasi in corsivo sono riprese dal libro CRONORIFUGIO di G. Gospodinov